L’esistenza e l’importanza dei cosiddetti fattori di rischio nella determinazione delle malattie vascolari sono noti da tempo.

Se facciamo mente locale anche le pubblicità televisive ce lo ricordano giornalmente focalizzando l’attenzione sul malefico colesterolo, da controllare con l’integratore di turno ovviamente associato ad “una dieta sana e all'attività fisica” che peraltro già da sole potrebbero aiutare!

I fattori di rischio vascolare

Alcuni dei principali fattori di rischio delle malattie vascolari sono definiti come immodificabili come l’aumento dell’età, il sesso maschile (sino all’età post-menopausale per le donne), l’eredità genetica ovvero il fatto che nostri familiari abbiano sofferto prima di noi di  malattie vascolari o l’averne sofferto in prima persona, sono dati di fatto sui quali non possiamo intervenire, ma che rivestono importanza nel bilancio globale della valutazione del rischio individuale.

Altri possono invece definirsi come acquisiti e sono di conseguenza in qualche maniera controllabili e modificabili. Alcuni per predisposizione come il Diabete Mellito, l’ipertensione Arteriosa, il colesterolo o i trigliceridi (dislipidemie familiari). Altri ancora come conseguenza di errati comportamenti alimentari come il sovrappeso e la maggior parte delle dislipidemie o di pessime abitudini come il fumo di sigaretta od ancora della ridotta attività fisica o dell’eccesso di tensione nervosa quotidiana (il cosiddetto “stress”).

Spesso in molte persone vi è concomitanza di più fattori di rischio, familiari, ereditari, acquisiti…e ciò non si limita a sommare semplicemente le probabilità di sviluppare malattia ma moltiplica il rischio, aumentandolo grandemente.

Malattie vascolari: perché è importante fare prevenzione

Sappiamo che la presenza di uno o più fattori aumenta molto il rischio di sviluppare una cosiddetta “complicanza vascolare” come infarto o angina, ischemie cerebrali transitorie o ictus, aneurismi dell’aorta o di altre arterie, deposizione di placche nelle arterie degli arti con comparsa di manifestazioni dolorose durante il cammino….

Le “complicanze vascolari” sono tuttora la causa più importante di invalidità e mortalità nella nostra popolazione! Più che i tumori.

Ciò nonostante né il comportamento della popolazione né l’atteggiamento di parte dei Medici sembra tenerne conto.

Ma come agire? Dobbiamo distinguere tra prevenzione primaria e secondaria.

La prevenzione primaria rappresenta tutti quei provvedimenti, comportamenti od eventuali trattamenti farmacologici che possano ridurre le probabilità di sviluppare una malattia del sistema cardiovascolare in persone apparentemente sane che ancora non abbiano sviluppato sintomi ma da considerare rischio.

La prevenzione secondaria invece riguarda tutti quei pazienti che hanno già sofferto di un evento vascolare nei quali si vuole ridurre le probabilità di una recidiva o la comparsa di una diversa manifestazione in un altro distretto. 

Tutti noi siamo al corrente, a volte per esperienza personale, dell’esistenza di farmaci che, assunti regolarmente possono far tornare nei limiti di norma alcuni dei parametri alterati dalle suddescritte eventualità. Ciò vale per la glicemia, il colesterolo, la pressione arteriosa ed altri. È anche ampiamente dimostrato che il ripristino di valori normali riduce nel tempo il rischio vascolare per quella determinata malattia. Ma ancora più importante è il fatto che si possa ridurre il rischio con la modifica di alcune abitudini alimentari e di comportamento tra i quali, fondamentale la cessazione del fumo, se presente!

L’incremento del consumo di cibi come frutta, verdure, legumi, l’uso di grassi di tipo mono o poli-insaturi (olio di oliva, oli di semi) sono in grado di ridurre i livelli di colesterolemia ma anche di aumentare il colesterolo HDL dalle note proprietà antiaterogene. In questo senso agirebbero anche il consumo di carboidrati (pane, pasta) ed il moderato consumo di alcool (vino), ottenendosi anche effetti sulla prevenzione delle neoplasie e sull’invecchiamento.

Il controllo del peso, l’incremento dell’attività fisica e l’abbandono del fumo potranno completare questo quadro virtuoso ed estremamente efficace.

La prevenzione primaria è tutto questo. Modificare le abitudini, controllare nel tempo i risultati, aggiungere farmaci qualora i primi provvedimenti non fossero efficaci.

In alcuni casi, definibili particolarmente a rischio, si può programmare anche l’esecuzione di esami per la valutazione della eventuale presenza e diffusione della malattia vascolare.

Altra cosa è la prevenzione secondaria. In questo caso la terapia farmacologica è fondamentale e si basa sul controllo della pressione, sulla azione sui grassi del sangue con obiettivi estremamente rigorosi, sul controllo assoluto della glicemia nel diabetico, sulla dieta, sulla cessazione del fumo eventualmente con supporto psicologico e farmacologico, sull'incremento dell’attività fisica, sulla ricerca delle localizzazioni della malattia vascolare nei distretti che ancora non hanno dato sintomi (per esempio valutazione delle carotidi, dell’aorta e delle arterie degli arti inferiori in un cardiopatico).

Una specifica: l’aspirina è indicata in prevenzione secondaria, ma non in primaria, soprattutto se da sola!

Arteriopatia: i soggetti a rischio

A chi cercare la malattia vascolare? Le Persone con maggiore probabilità di essere portatori di malattie vascolari asintomatiche sono quelle di età > a 65 anni, quelli di età compresa tra 50 e 64 anni con fattori di rischio per aterosclerosi (diabete, fumo, dislipidemia, ipertensione o storia familiare per malattia vascolare periferica), quelli di età < ai 50 anni con diabete ed almeno un altro fattore di rischio ed i Pazienti con malattia vascolare aterosclerotica conclamata in un altro distretto (coronarie, carotidi, aneurismi dell’aorta addominale, malattie delle arterie periferiche delle gambe).

Ma si cerca tutto a tutti? Mentre nel caso di chi abbia già sofferto di una manifestazione della malattia sappiamo che fare, nel caso dei cosiddetti asintomatici sappiamo che il beneficio di uno screening di massa difficilmente sarà utile. Troppi esami ed investimenti di risorse per individuare pochi casi.

C’è però una possibilità, anche questa purtroppo sottoutilizzata nonostante la sua facile applicabilità: la misurazione dell’ABI.

ABI è l’acronimo di Ankle-Brachial Index o indice caviglia-braccio.

In pratica si tratta di misurare con l’ausilio di un piccolo ed estremamente poco costoso strumento, un doppler portatile, le pressioni del sangue nelle arterie delle braccia e delle gambe al livello delle caviglie dei nostri pazienti. Si pone un manicotto della pressione prima su di un braccio, poi sull’altro, quindi si passa alle gambe. Con il dopplerino si individua l’arteria interessata, si gonfia il manicotto fino a che il flusso di sangue non scompare, poi lo si sgonfia lentamente sino a che ricompare e si prende nota della pressione in quel momento.

In una persona sana sdraiata ed a riposo la pressione di braccia e gambe è identica ed il rapporto è uguale a 1 (120/120=1)

Se la pressione misurata alle caviglie risulta inferiore a quella delle braccia ed il rapporto scende al di sotto di 0,9 quella persona diventa un Paziente ed è portatore di una arteriopatia, anche se asintomatica.

Sappiamo infatti che un ABI < a 0.9 individua un  alto rischio di sviluppare complicanze vascolari, soprattutto cardiache e cerebrali.

Quindi in questi faremo poi tutti gli accertamenti necessari per verificare quanto diffusa sia la malattia e metteremo in atto tutti i provvedimenti che in questo caso diverranno di prevenzione secondaria.

Negli ultimi tempi l’industria ha reso disponibili strumenti che misurano l’ABI autonomamente ed in pochi minuti consentendo di diffonderlo maggiormente ai Medici di medicina Generale ed agli specialisti, soprattutto tra i Diabetologi.

La malattia delle vetrine

L’espressione conclamata della arteriopatia agli arti inferiori e che dunque interessa le gambe è la cosiddetta malattia delle vetrine.

Prima si è scritto che un ABI < a 0.9 individua un alto rischio vascolare. Quando questo scende ulteriormente compaiono invece i sintomi. Le arterie sono ristrette dalla presenza di placche aterosclerotiche, a riposo il sangue che arriva ai muscoli è più che sufficiente, ma se la persona comincia a camminare i muscoli chiedono più sangue ed ossigeno. Quando la quantità di ossigeno e sostanze nutritive trasportabili diviene insufficiente a causa del restringimento delle arterie i muscoli entrano in sofferenza e danno dolore. Dolore che normalmente viene avvertito al polpaccio e che è tale da costringere  a fermarsi. Dopo poco il dolore scompare per ripresentarsi alla ripresa del cammino dopo una distanza più o meno costante che può variare da poche decine a centinaia di metri ed essere anche dipendente dalla velocità stessa del cammino.

Classicamente il Paziente quando si ferma tende a distrarsi, magari guardando una vetrina e da questo la definizione iniziale. Quella corretta è “Claudicatio Intermittens”

Sin dai tempi dell’università ci insegnavano che le probabilità di un Paziente di arrivare all'amputazione di una gamba sono inferiori a quelle di morire per infarto o di Ictus cerebrale!

Peraltro non tutte le claudicatio sono vascolari. Proprio l’esecuzione di un ABI, ci consente di decidere come proseguire negli accertamenti.